Io sono: recensione di Celine Dion: questo documentario intimo e violento è una meraviglia

Può sembrare una cosa da poco, ma sono grato che la regista Irene Taylor e il suo soggetto Celine Dion non abbiano scelto di prendere in prestito nessuna delle tante canzoni famose della cantante per intitolare questo ritratto dell'artista in un bivio straziante della sua vita. e carriera. Dopotutto, la battaglia di Dion contro la sindrome della persona rigida, che l'ha costretta all'isolamento nella sua casa di Las Vegas, incapace di cantare, esibirsi o, a volte, anche solo camminare senza dolore per casa sua, potrebbe facilmente essere intitolata in qualsiasi modo, da “I'm Alive” e “A New Day Has Come” fino a “My Heart Will Go On” e “Pour que tu m'aimes encore” – tutti elementi che avrebbero conferito al progetto una sensibilità piuttosto sdolcinata. Invece, la semplicità del titolo bilingue del documentario ( I Am: Celine Dion / Je Suis: Céline Dion ) risponde alla semplice seppur sfuggente domanda che lo riguarda: chi è la cantante vincitrice del Grammy senza la sua voce, senza il suo palco, senza lei? pubblico?
Una domanda del genere è resa ancora più urgente viste le ambizioni della giovane Celine Dion che, nei momenti iniziali del documentario, ci racconta i sogni che ha per se stessa. "Il mio sogno è diventare una star internazionale", racconta l'adolescente alla telecamera dell'home video. Solo che poi sente che potrebbe essere un sogno troppo limitante o troppo improbabile. Lo modifica subito con un sogno apparentemente più adeguato: tutto ciò che desidera è poter cantare per tutta la vita.
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Quel momento di ottimismo a occhi spalancati, dato tutto ciò che sappiamo sulla carriera storica che quella giovane talentuosa avrebbe avuto, ora ha un sottotono più malinconico. Dion è diventata una star internazionale. Ha venduto milioni di album. Ha girato il mondo più volte. Ha guadagnato premi in abbondanza. Ma quell’altro sogno, che al confronto sembrava più modesto, potrebbe non realizzarsi. Da quasi due decenni ormai, come rivela in I Am: Celine Dion, combatte la sindrome della persona rigida. Ci sono voluti anni per ricevere la diagnosi e spiegare perché soffriva di spasmi che stavano compromettendo la sua mobilità e, cosa ancora più importante, la sua capacità di cantare. Nel 2021, quando Dion cancellò la sua residenza a Las Vegas e si ritirò praticamente in isolamento, la sua salute aveva sofferto così tanto che anche le attività quotidiane erano estenuanti.
Durante le interviste sincere che Taylor mette in scena nella sontuosa casa di Dion a Las Vegas, apprendiamo quanto sia alto il prezzo che questa diagnosi sta imponendo all'artista solitamente esuberante ed effervescente. A volte malinconica e nostalgica, a volte imbarazzata se non addirittura amareggiata, Dion parla con candore di come perdere la capacità di fare la cosa che ama di più sembri una perdita che non riesce a spiegare, per non parlare di comprendere. È sempre stata "Celine Dion". È sempre stata chiamata alla perfezione (in un aneddoto infantile ricorda quanto fosse infastidita anche da bambina quando una band di accompagnamento sbagliava una nota). Non sa come essere fallibile, o come tradurlo in un modo praticabile di cantare, di essere.
Queste riflessioni intime sono la spina dorsale di I Am: Celine Dion. Sono opportunità per Dion di parlare di ciò che ha vissuto negli ultimi anni, forse per la prima volta. Con il suo corpo che si rivela un avversario che non aveva mai previsto (durante le convulsioni, non può letteralmente muoversi), si ritira nei suoi ricordi. Non per riposare sugli allori o crogiolarsi nel loro splendore, ma per trovare calore e forza nella vita che ha vissuto. Taylor tiene a intrecciare le attuali difficoltà della Dion con momenti del passato: non solo concerti tutto esaurito o folle ruggenti nella sua residenza a Las Vegas, ma anche scene più tranquille con la sua numerosa famiglia del Québécois, con il suo defunto marito René e i suoi figli.
Passare dai momenti incustoditi in cui Dion è in lacrime – parlando delle sue impegnative sessioni di terapia fisica e delle molte pillole da cui dipende – e scene appariscenti in cui la sua abilità vocale e fisica è in piena mostra per far divertire il mondo intero è straziante. Ma qui non c'è autocommiserazione. Il documentario, prendendo spunto da Dion, non si limita a guardare indietro; c'è una strada da percorrere. Ciò che esattamente sembra, a quanto pare, viene negoziato man mano che il documentario si svolge. La questione chiave è che lo strumento vocale, un tempo elastico e impressionante, di Dion non può e non si piega ai suoi desideri come una volta. A sua volta, la esaspera e la disarma. E mentre la vediamo lavorare con il suo fisioterapista e prendersi cura dei suoi gemelli adolescenti, siamo incoraggiati a vedere in questo un viaggio verso l'alto. Un passo avanti verso un mondo in cui Dion potrà tornare in studio, sul palco, di nuovo al top.
Vuoi questo per lei. E, piuttosto egoisticamente, forse, per noi stessi. Per decenni, come dimostrano le numerose clip delle performance, la Dion è stata una potenza il cui comportamento vincente e il mellifluo romanticismo sono stati a lungo un balsamo. Se vuole superare la sindrome della persona rigida (che colpisce circa una persona su un milione), sarebbe la prova che uno spirito resiliente (e, forse, l'accesso a un'assistenza sanitaria di livello mondiale) è tutto ciò di cui hai bisogno. È una testimonianza per Taylor (e per Dion per aver condiviso la sua storia non verniciata) che Io Sono: Celine Dion lavora attivamente contro conclusioni così nette.
Le scene finali di questo documentario violento - una che segue Dion mentre lotta per registrare la canzone "Love Again" per l'omonimo film del 2023, l'altra che testimonia con dettagli sconcertanti il terrificante attacco che segue - sono potenti per la semplicità con cui spiegano quale sia la vita di Dion adesso. Ci sono gioie e c'è lotta. Celine Dion, forse ora libera dalla personalità che ha coltivato per decenni, è alla deriva. Ma non è meno impegnata, non meno innamorata del suo mestiere, della sua vocazione. Il documento giustamente non ci lascia con un messaggio edificante né desolante; ci lascia con l'idea scomoda, anche se confortante, che la cantante 56enne sta ancora cercando di capire chi era, chi è e chi potrebbe ancora diventare.